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Omicidio Giulia Cecchettin, il racconto di Turetta

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Papà Gino: "Dolore per gli ultimi istanti di Giulia, ho capito chi è Turetta"

Durante l'interrogatorio dell'ex fidanzato Filippo Turetta, accusato di omicidio aggravato, il padre della vittima, Gino Cecchettin ha frequentemente osservato il banco dei testimoni mentre il giovane di ventidue anni manteneva costantemente lo sguardo abbassato. Prima che iniziasse la difesa di Turetta, Cecchettin ha abbandonato l'aula, affermando: "Ho capito perfettamente chi è Filippo Turetta, non necessito di restare, per me è tutto chiaro e la vita altrui è sacra per me".“Sapere gli ultimi momenti della vita di Giulia” è stato il momento più delicato dell’udienza di oggi, 25 ottobre, per Gino Cecchettin, il papà di Giulia, assassinata lo scorso 11 novembre con 75 coltellate.

La sorella di Giulia assente in aula
Assente invece fin dall'inizio in aula la sorella di Giulia, Elena Cecchettin. "Oggi e lunedì 28 ottobre non sarò presente in aula. Non per disinteresse, ma per prendermi cura di me stessa", ha annunciato lei stessa su Instagram. "Sono più di 11 mesi che continuo ad avere incubi, 11 mesi che il mio sonno è inesistente o irrequieto. La mia salute mentale e soprattutto quella fisica ne hanno risentito. Ho perso il conto delle visite mediche che ho dovuto fare nell'ultimo anno. "Seguirò a distanza anche tramite i miei legali, tuttavia non parteciperò. Sarebbe per me una fonte di stress enorme e dovrei rivivere nuovamente tutto quello che ho provato a novembre dell'anno scorso. Semplicemente non ne sono in grado" aggiunge la studentessa. "Voglio condividere questo perché penso sia giusto proteggersi quando ne abbiamo bisogno. Sono umana, e come tutti non sono invincibile" conclude Elena Cecchettin.

 IL RACCONTO DI TURETTA

“Ero arrabbiatissimo, non volevo andasse via. Ho preso il coltello dalla macchina e l’ho rincorsa, forse l’ho preso per minacciarla…non lo so. O forse volevo colpirla per la rabbia”. Filippo Turetta, imputato per l’omicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin, ricostruisce più volte in aula - davanti alla Corte d’Assise di Venezia - la doppia aggressione avvenuta la sera dell’11 novembre scorso.

Quando nel parcheggio vicino casa, la ventiduenne è uscita dall’auto “l’ho raggiunta, devo averla spinta o tirata, lei è caduta per terra la devo aver colpita non so come…io li ricordo solo che ho il coltello poi in mano, sì devo averla colpita. Ha sbattuto la testa sul pavimento poi l’ho spinta in macchina”. Nel tragitto in auto, da Vigonovo a Fossó, “Penso di aver preso il suo cellulare e di averlo spento e allontanato da lei per impedirle che chiamasse aiuto”, racconta nel suo interrogatorio. Cellulare che butta poco dopo il delitto, gettandolo “in una specie di fossato in una stradina secondaria, insieme al coltello” aggiunge.

Nei primi minuti del percorso verso Fossó “penso fosse stordita, non so. Non volevo uscisse dalla macchina e l’ho accoltellata, uno sulla coscia, forse più di una volta, non lo so, colpivo a caso” quindi per impedirle la fuga nell’area industriale torna a colpirla. Le coltellate sono in tutte 75, ma è un particolare che l’imputato non ricorda. “Deve essere successo che stavo andando molto piano, ho provato a staccare un pezzo di scotch per metterglielo sulla bocca in modo che non dicesse niente, nel mentre lei è uscita” ed è sull’asfalto di Fossó che arrivano i colpi mortali. “Devo averla colpita più volte, ma non so dire quante…una volta avevo detto dodici, tredici, in realtà sono di più”. Un delitto che nasce dall’incapacità di Turetta di rassegnarsi alla fine della relazione. “Io la speranza non l’ho mai persa. In passato, ma anche negli ultimi tempi continuavamo ad avere un rapporto. Ci vedevamo, ci scrivevamo, c’erano state delle cose che mi portavano ad avere delle speranze di tornare insieme” conclude Turetta.

25 Ottobre
Autore
Luca Morazzano

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