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Tutti i romanzi di Luis Sepúlveda al Salone di Torino

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Al Lingotto di Torino il ricordo dello scrittore cileno, un narratore dell'immaginario che ha sempre seguito un unico binario umano e letterario

Ogni dibattito un racconto, ogni racconto una storia, ogni storia un filo che ti conduce direttamente in un altrove letterario dove il viaggio dell’immaginario non termina. Non può terminare. A un anno dalla morte di Luis Sepúlveda il ricordo non è vivo, ma pulsa, è tangibile. Del resto, del grande scrittore cileno scomparso a Oviedo il 16 aprile 2020 per Covid19 ci sono i romanzi che ancora cantano per lui, e fortunato è chi non li ha mai letti perché può armarsi e partire verso orizzonti sconfinati. Certo, chi è un ascaro letterario del cultore dell’immaginario può riprendere in mano edizioni tascabili ingiallite o proiettarsi nell’onnicomprensivo appena sfornato da Guanda e presentato al Salone del Libro di Torino, alla presenza della moglie Carmen Yànez, del direttore editoriale della Guanda Luigi Brioschi e moderato dal giornalista Massimo Calandri. Tutti i suoi romanzi in un blocco di pagine da sfogliare, amare, immergersi per poi riemergere più arricchiti di prima, grazie a totem narrativi come ‘Un nome da torero’, ‘Diario di un killer sentimentale’, ‘L’ombra di quel che eravamo’, ‘Il vecchio che leggeva romanzi d’amore’ e altri.

La bellezza di Sepúlveda resta la familiarità con cui dialogava col lettore, diretta, quasi conviviale ma intima, una sorta di ossimoro che sin da subito è diventato una sua griffe personalissima. Il dialogo con la moglie Carmen e il giornalista Calandri è stato come sarebbe piaciuto a lui, appunto intimo, intramezzato, mi perdonerete ma non sono capace di mentire in nome e per conto di Lucio quando confeziono un articolo per lui, da letture nient’affatto all’altezza, cominciando da quella del direttore del Salone Nicola La Gioia che l’ha scandita come se stesse leggendo per l’ennesima volta la lista della spesa alla madre un poco sorda, emulato, per spirito epigonico, da chi l’ha succeduto. Per fortuna, le parole pur librandosi e correndo nell’aria si lasciano acchiappare e comprendere.

E allora il convivio scorre fluido lo stesso. Luigi Brioschi ha ricordato il suo rapporto speciale, denso di aneddoti nel lasso dei trent’anni che li ha visti frequentarsi, sottolineando soprattutto che nell’universo di Lucio o eri suo amico o non eri, non c’era spazio per fraintendimenti in questi casi. Insofferente a canoni e norme, scivolano i ricordi come se però Lucio fosse ancora lì, accanto a noi, seduto tra i suoi lettori, a scandire i primi bigliettini d’amore lasciati agli amorini adolescenziali, esaltati dall’aneddoto sempre gustoso della corruzione al fratello di lei per mano del vino, ma anche quello drammatico del carcere e della punizione culminata col cubo, ancora quello inflazionato ma sempre divertentissimo dello scambio di persona: dapprima in nome di Paulo Coelho per mano di una donna che all’aeroporto gli chiede l’autografo su un libro (ovviamente rilasciato nelle sembianze dell’autore de L’alchimista) e poi in quello tipicamente italiano, o meglio ancora mediterraneo, quando in un bar di Genova è stato scambiato per un bomber ormai in pensione che aveva fatto impazzire la Nord rossoblù. E lui sempre accondiscendente, piegato con sorriso bonario agli scherzi del destino farsesco. 

Di un autore si segue la vita quando ti appassioni alle sue opere, così scopri un personaggio errante, un picaro, un attivo ecologista, un anarcomarxista, un gitano, un avventuriero e un cantastorie. E sì, il cileno Luis (Ovalle, 1949) è stato tutto questo, ha combattuto per il suo presidente Allende quando il Palazzo della Moneda veniva bombardato dalle truppe di Pinochet, imprigionato e torturato è stato poi graziato, ma invece di rifugiarsi in Europa ha girovagato nel ConoSur, fino ad arrivare a combattere in Nicaragua contro i soliti piani orditi dalla Cia e dal burattino dittatore manovrato. E da lì ha poi cominciato a scrivere non solo di teatro ma regalandoci architetture narrative che hanno segnato la letteratura mondiale. La vita e le opere di Sepúlveda non sono due binari paralleli, sono un’unica linea, perché capisci quanto la vita attraversa le trame di un romanzo e quanto un romanzo rispecchia l’avventura della vita. E così per continuare a rendere viva la sua eredità imprimiamo una sua frase, a proposito dell'immaginario: "L'ultima rivoluzione rimasta in sospeso è quella dell'immaginario: dobbiamo essere capaci di immaginare in quale mondo e società vogliamo vivere, e se vogliamo essere cittadini o consumatori".

Del resto era una festa, un incontro di anime che crede ancora che i libri, i romanzi nella fattispecie, possano rendere il mondo migliore. Si scrive per evadere? Boh. Sepúlveda li scriveva comunque perché riconosceva il ruolo sociale e politico dello scrittore nel mondo, del suo impegno per creare nuovi destini con sorrisi sinceri e questa, credo, resterà la sua eredità. Personaggi sghembi che si fondono con protagonisti omologati capaci di grandi slanci, entrambi, sempre con il chiaro intento di disegnare un mondo migliore, bello quanto quello dell’immaginario.

 

3 anni fa
Autore
Gian Luca Campagna

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