Internet e Brain Rot, davvero la rete ci marcisce il cervello?
Come l'utilizzo, o meglio l'abuso del web portano il cervello ad "atrofizzarsi"
C’è una parola per definire la sensazione secondo cui l'uso di internet intorpidisce il cervello: ‘Brain Rot’, ovvero ‘cervello marcito’ o ‘putrefatto’. Ed è così rappresentativa del momento storico in cui stiamo vivendo da essere stata appena eletta parola dell’anno 2024 dall’Oxford Dictionary, che da due decenni sceglie un termine capace di catturare lo spirito e le conversazioni che hanno plasmato i 12 mesi precedenti.
In pratica, l’Oxford Word of the Year funziona un po’ come un riassunto dell’anno appena trascorso, riflettendo le ansie, l’umore e le tendenze che l’hanno caratterizzato. E stavolta, grazie a una votazione pubblica con oltre 37mila partecipanti, la palma d’oro è andata proprio a Brain Rot, che ha avuto la meglio su altre cinque finaliste.
Cos’è il marciume cerebrale?
Ma cos’è questo cervello marcio? ‘Brain Rot’ indica, come spiega l’Oxford Dictionary, “il presunto deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona, specialmente visto come il risultato di un consumo eccessivo di materiale (ora in particolare contenuti online) considerato banale o poco stimolante”. E indica anche la causa – quindi i contenuti – di tale deterioramento.
Scrollare all’infinito i social esponendosi a una enorme mole di materiale spesso disimpegnato e di scarso valore ha effetti pesanti sulla salute del cervello: diminuisce la capacità di attenzione, riempie la testa di materiale poco utile e di bassissima o nulla, crea dipendenza e diminuisce la memoria. in definitiva rimbambisce e rende più stupidi, una cosa ben diversa dal sano intrattenimento.
‘Zombiezzazione’ e dipendenza dai social: le facce del Brain Rot
Tra i comportamenti da ‘marciume cerebrale’ a cui fare attenzione possiamo citare:
l’uso spropositato dei videogiochi, nel momento in cui diventa una dipendenza che aliena la persona (non solo i giovani) dalla vita reale.
la ‘zombiezzazione’, ovvero lo scorrimento infinito e senza scopo che trasforma in vegetali umani, facendo perdendo cognizione di se stessi, del tempo e alla fine anche di ciò che si sta guardando, che per l’appunto è irrilevante
il doomscrolling, cioè la ricerca irrefrenabile di informazioni angoscianti e di notizie negative
la dipendenza dai social media, quindi un persistente bisogno di controllare i social e la sensazione di non poter smettere.
Di Brain Rot se ne parlava già nel 1854
Il termine Brain Rot, nota l’Oxford Dictionnary, non è nuovo: fu usato per la prima volta nel lontano 1854 da Henry David Thoreau nel suo libro Walden, in cui arrivava a criticare la tendenza della società a svalutare le idee complesse a favore di quelle semplici, considerando questo come indicativo di un declino generale nello sforzo mentale e intellettuale, “un marciume cerebrale”, che prevale in modo ampio e fatale sul resto. Quella alla semplificazione, quindi, non è una tendenza nuova ma ai tempi di internet il deterioramento del cervello sta raggiungendo vette sempre più alte, e non è neanche l’unico danno che il web sta facendo alla salute mentale sostanzialmente di tutti (soprattutto dei giovani).
Non è un caso se l’uso dell’espressione ‘Brain Rot’ è aumentato del 230% nell’ultimo anno, riflettendo le sempre più diffuse preoccupazioni sull’impatto del consumo eccessivo di contenuti online di bassa qualità, soprattutto sui social.
La cosa curiosa, inoltre, è che dimostrando un certo cortocircuito tra i piani di realtà, il termine è diventato popolare proprio sulle piattaforme social indiziate di far mar marcire i cervelli – in particolare TikTok – e tra le comunità Gen Z e Gen Alpha, per poi strabordare nel mondo ‘reale’ attraverso il giornalismo mainstream.
Da Selfie nel 2013 a Rizz nel 2023, il web permea ciò che siamo
La vittoria di Brain Rot quest’anno si inserisce in una tendenza degli ultimi due decenni, quella della crescente preoccupazione della società per come le nostre vite virtuali si stanno evolvendo. Già nel 2013 la parola dell’anno fu ‘Selfie’. E se nel 2019 il focus è stato su ‘Emergenza climatica’ e nel 2021 prevedibilmente su ‘Vax’, nel 2022 troviamo ‘Modalità goblin’, espressione che indica comportamenti volutamente autoindulgenti, pigri, trasandati, in genere in contrapposizione alle norme o alle aspettative sociali.
Nel 2023 la parola dell’anno è stata ‘Rizz’, ovvero la capacità di qualcuno di attrarre un’altra persona attraverso lo stile, il fascino o l’avvenenza, in sostanza il carisma.
La sequela delle ultime parole vincitrici segnala insomma come la cultura di internet stia permeando moltissimo di ciò che siamo e di ciò di cui parliamo, come spiega Casper Grathwohl, presidente di Oxford Languages: “La parola vincitrice dell’anno scorso, ‘Rizz’, è stata un esempio interessante di come il linguaggio sia sempre più formato, modellato e condiviso all’interno delle comunità online. ‘Brain rot’ parla di uno dei pericoli percepiti della vita virtuale e di come stiamo usando il nostro tempo libero. Sembra un legittimo capitolo successivo nel dibattito culturale su umanità e tecnologia”.
C’è modo di evitare di marcire?
Ma il destino della nostra materia grigia non è già scritto: qualcosa possiamo fare per combattere il marciume cerebrale, basta seguire i suggerimenti degli esperti, come quelli forniti da un centro di salute mentale negli Stati Uniti che si è occupato della questione. Sembrano consigli ovvi, ma riuscire a metterli in pratica è molto meno ovvio. In sintesi, la chiave è essere intenzionali riguardo al consumo di media:
impostare dei limiti al tempo trascorso davanti allo schermo: dopo aver monitorato le ore quotidiane dedicate a internet, stabilire dei paletti e aiutarsi con app e timer a rispettarli. Utile eliminare le app che distraggono, disattivare le notifiche, non consumare contenuti subito prima di andare a letto
curare il proprio feed: è fondamentale fare attenzione a ciò che si consuma, lasciando perdere notizie sensazionalistiche e negative, diversificando le fonti e smettendo di seguire gli account che suscitano rabbia, ansia, inadeguatezza o invidia. Piuttosto, è bene popolare il proprio feed con contenuti positivi che ispirino e siano fonte di crescita
perseguire interessi e amicizie non digitali, ovvero riscoprire l’enorme mondo oltre lo schermo. Utile a tal fine riprendere o iniziare un hobby e fare attività che piacciono, oltre a sforzarsi di socializzare con le persone nel mondo reale
rafforzare la mente: la mente è come un muscolo, cresce con lo sforzo. Quindi invece di scrollare come degli zombie, è meglio imparare una lingua straniera o una nuova abilità tecnica, studiare qualcosa, scrivere, leggere, fare puzzle fisici, matematici o di parole
detox digitale: se limitare il tempo trascorso davanti allo schermo è sempre positivo, staccare completamente la spina è ancora meglio. Si può iniziare con 15 minuti e prolungare man mano, oltre a evitare di guardare il telefono quando si esce con gli amici o si va a fare una gita.
chiedere supporto: se il proprio rapporto con internet impatta sulla vita quotidiana, è utile rivolgersi a un terapeuta o di un consulente.
Brain Rot insomma non è solo una parola: è un segnale d’allarme, un invito a spegnere lo smartphone e magari a uscire per una passeggiata e parlare con qualcuno in carne e ossa. Perché il marciume cerebrale è una cosa seria, ma per fortuna abbiamo ancora qualche neurone da salvare. Forse.
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