#DoNotTouchMyClothes, la rivolta sartoriale delle donne afghane
Dopo la fuga delle calciatrici della Nazionale afghana, le donne posano sui social con abiti vivaci disobbedendo ai Talebani
Fuggono le donne. Si rifugiano in Pakistan. Sono ragazzine che tirano calci a un pallone. Già, adolescenti che rincorrono una palla, sovvertendo quella regola femminile per cui non si dovrebbe mai indossare lo stesso abbigliamento in un’unica scena. Ma questo è un vezzo occidentale: le ragazze della Nazionale di calcio afghana sanno che praticare uno sport in uno stato ormai fondamentalista significa mettere a rischio la propria vita. Così le leonesse di Khorasan, come viene appellato chi gioca a calcio in Afghanistan, hanno capito che cambiare il proprio Paese attraverso lo sport è una pratica impossibile. Venuta meno la tutela dell’Occidente, nei giorni scorsi hanno ripiegato oltre i confini pakistani tirandosi dietro i familiari. I Talebani che hanno preso il potere hanno già espresso il ruolo sociale della donna: a casa, ad accudire figli, con la libertà privata azzerata.
E la fuga per le giovani che giocando si coprono col hijab si è rivelata l’unica soluzione. Ma non è sempre così. Perché a distanza di poche ore dalla scelta disperata delle calciatrici ecco nascere il movimento #DoNotTouchMyClothes ("Non toccare i miei vestiti"), in cui le donne afghane dopo aver manifestato in piazza per reclamare i più 'banali' diritti civili ora sui social hanno lanciato una campagna contro le restrizioni del nuovo regime che impone rigidi limiti anche sul codice d’abbigliamento. Le donne afghane hanno così postato sui social foto e video che le ritraggono in abiti dai colori e dalle fogge vivaci, in chiara opposizione al burqa e in inevitabile segno di dissenso col regime talebano.
Ecco, le donne afghane hanno forse capito. Non sono sportive, non sono famose, forse non hanno istruzione. Avranno la solidarietà da parte dell’Occidente ma non il suo sostegno materiale. Dovranno specchiarsi in qualche esempio recente che ha rovesciato dittature militari e storture sociali, guardando alle Madres e alle Abuelas di plaza de Mayo capaci di sfidare e rovesciare la junta militar in Argentina. Dovranno vestire i panni della prima rivoluzionaria della storia, Eva, riflettersi nell’atteggiamento della sfida al potere costituito, rigido, religioso, preordinato, schematizzato. Emancipandosi, partendo da se stesse, vestendosi di abiti sgargianti ma spogliandosi delle omologazioni in cui le dittature vorrebbero relegarle.
Commenti