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Il 27% dei giovani non ha amici in carne e ossa

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Situazione preoccupante quella della socialità giovanile. Il 14% dei ragazzi fatica a incontrare coetanei

I giovani, il mondo digitale e dei social. "Vorrebbero avere una sana vita 'analogica'. Circa la metà prova a uscire di casa per divertirsi, a fare sport con regolarità e ad avere uno stile alimentare equilibrato. Ma tanti altri si lasciano ipnotizzare dalla dimensione digitale, con effetti deleteri su umore e prospettive per il futuro. Le più colpite sono le ragazze". E' il trend che emerge dall’annuale indagine condotta dall’Associazione Nazionale DiTe (Dipendenze tecnologiche, gap e cyberbullismo) in collaborazione con il portale studentesco Skuola.net e in anteprima pubblicata da Adnkronos Salute - su un campione di 2.510 ragazze e ragazzi italiani, tra i 10 e i 24 anni - in occasione della Giornata nazionale contro le dipendenze tecnologiche, indetta dalla stessa associazione per il 30 novembre.

Il quadro che emerge è quello dei giovani "sempre più isolati", secondo l'indagine "la ridotta capacità di relazionarsi 'vis a vis' si riflette in una crescente assenza di amici in carne ed ossa: il 26,8% non ha legami significativi coltivati regolarmente con incontri al di fuori delle piattaforme digitali. E nella riduzione della capacità di uscire di casa: il 14,4% spesso se non sempre fa fatica a incontrare i propri amici dal vivo". “Questi dati - sottolinea Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta, Presidente dell’Associazione Di.Te. - ci restituiscono il ritratto di una generazione consapevole dell’importanza delle relazioni autentiche e delle buone abitudini, ma al tempo stesso immersa in una realtà che amplifica insicurezze e solitudini”.

I social influenzano stati d’animo e percezioni del sé. "In questa pericolosa deriva, l’influsso del digitale è evidente: il 49,3% dei giovani ammette di sentirsi influenzato da ciò che vede sui social media, mentre il 34,2% si sente spesso triste o insoddisfatto dopo un uso prolungato delle piattaforme sociali", avverte l'indagine. “Qui sta la chiave - commenta Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net - dell’apparente contrasto tra la ricerca del benessere fisico e il malessere mentale: infatti il 36% del campione ammette che il rapporto con il proprio corpo è legato a doppio filo con i modelli proposti dai social. Anche la ricerca di un 'fisico da post' fa parte degli effetti della dieta digitale”. Ma non basta: "la cura per questi stati d’animo viene cercata nella loro causa. Spesso, infatti, si visitano i social per gestire distrarsi dagli stati d’animo come tristezza o rabbia (58%) oppure frustrazione/delusione (54,4%)", rimarca l'indagine.

Un effetto a catena che ha ricadute oltre l’esperienza online. “Il passaggio più preoccupante della ricerca - avverte Lavenia - è legato a un altro aspetto: la gestione delle emozioni e la percezione del domani. Il 62,3% delle ragazze e dei ragazzi, infatti, confessa di fare fatica a immaginare la propria vita futura. Una difficoltà che, peraltro, cresce con l’età. Viviamo in un’epoca in cui tutto è istantaneo, e questa immediatezza sembra soffocare la capacità di progettare a lungo termine. I social, che dovrebbero essere uno strumento, diventano spesso un rifugio che però amplifica frustrazione e insoddisfazione”.

Entrando più nel dettaglio dell'indagine, la percezione dell’influenza (negativa) dei social varia notevolmente tra i generi: se tra la ragazze è il 65% a sentirsi condizionata da ciò che vede online, tra i ragazzi ci si ferma al 31%. Per questo, secondo lo psicologo Lavenia, “è fondamentale lavorare su percorsi educativi che aiutino le ragazze a sviluppare una maggiore autostima, offrendo loro strumenti per leggere criticamente i contenuti online e contrastare le insicurezze”. "La situazione è ancora peggiore - conferma Grassucci - se ci limitiamo a misurare l’impatto dei social sul rapporto con il proprio corpo: è rilevante secondo il 47% delle ragazze intervistate e solo per il 18% della controparte maschile”.

Un buon inizio potrebbe essere quello di accompagnare i giovani nella 'gestione' delle piattaforme da cui sgorga tanta insicurezza. Seguendo l'esempio dell'Australia ha approvato la prima legge al mondo che vieta ai minori di 16 anni di usare i social. La delibera attuata dal parlamento di Canberra è una delle misure più restrittive verso piattaforme come X, Tik Tok, Instagram e Facebook. "Perché sono troppi quelli che ne abusano: il 53,4% vi trascorre tra 1 e 3 ore al giorno", ricorda i curatori dell'indagine. La proposta è quella del patentino digitale, ovvero "no smartphone agli under 14 né social agli under 16". Tuttavia non manca la consapevolezza degli effetti del digitale: più cresce l’esposizione nel tempo più vengono percepiti. "Non è un caso che il 90% dei 19-24enni rilevi un peggioramento della capacità di comunicare nella realtà a causa di un abuso nell’uso dei social, quando tra i 10-15enni a pensarla così è 'solo' il 56% - si legge nell'indagine - Questa dinamica si rileva anche quando si tratta di chiedere il parere su possibili ausili per usare meglio lo strumento: il 49%, ad esempio, si dice favorevole all’introduzione di un patentino digitale obbligatorio per la 'navigazione', con percentuali che salgono al 66% tra i 19-24enni".

Sorprendentemente trova un certo consenso anche l’idea di vietare completamente lo smartphone sotto i 14 anni e i social agli under 16: "mediamente il 47% sarebbe d’accordo, con un consenso non trascurabile sia da parte dei diretti interessati (il 29% tra i 10-15enni) che dei loro colleghi più grandi (il 49% tra i 19-24enni)", rimarca l'indagine. Infine, va constatato che, fortunatamente, le famiglie sembra stiano "iniziando a riscoprire il ruolo di educatori, anche riguardo alla vita digitale dei figli: solo il 32% dei giovani intervistati non affronta mai queste tematiche con i propri genitori. E, sorprendentemente, la metà di loro (48,7%) ritiene che un maggiore coinvolgimento degli adulti di riferimento sulla questione potrebbe aiutare a vivere meglio questa dimensione - conclude l'indagine - Tuttavia va posta attenzione a non approfittare di questa apertura al dialogo, altrimenti si rischia di sfociare nell’eccesso di controllo: al 62,3% è successo di essere stato alla “geolocalizzazione” da parte dei genitori. Pratica, questa, che viene accettata serenamente solo dal 51,2% di coloro a cui è toccata.

 

 

29 Novembre
Autore
Eugenio Scribani

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