Quella storia in cui i Talebani sono i buoni
La vicenda di Charlotte Bellis, la giornalista neozelandese incinta che non può rientrare nel suo Paese ma accolta dal regime afghano
Che storia quella di Charlotte Bellis. La cronista viene inviata in Afghanistan per seguire le vicende del Paese con i Talebani al governo, ne descrive la discriminazione riferita alle donne ma poi, quando va in difficoltà col resto del mondo, incluso il suo di Paese, ecco che i Talebani le vanno in soccorso, sconfessando se stessi, la cronista e i giudizi, inclusi i pregiudizi, su di loro. Una storia che profuma di romanzo, di film, di vita, di paradosso. Ma andiamo con ordine: ad agosto Al Jazira la invia per seguire il ritiro delle truppe occidentali, nel mentre si accorge di essere incinta del suo compagno, un fotoreporter belga, così rientra nella sede di Doha ma in Qatar è vietato avere figli al di fuori del matrimonio, quindi la cronista si dimette dalla testata e prova a rientrare in Nuova Zelanda, solo che coi tempi, i modi, le quarantene, la burocrazia, in questo momento diventa peggio che orientarsi nella giungla amazzonica senza una bussola. Le sue 59 domande al suo Paese non vengono mai accolte, ma la solidarietà dei Talebani diventa materiale. Così, la giornalista Charlotte Bellis non ha avuto altra scelta che rivolgersi ai Talebani per chiedere aiuto durante la sua gravidanza. Nota a livello internazionale per essere tra le prime ad aver intervistato i leader talebani dopo la loro salita al potere e chiedere loro conto delle politiche rivolte alle ragazze e alle donne, Bellis ha scoperto di essere incinta mentre si trovava in Afghanistan e ha deciso di dimettersi dall'emittente al-Jazeera. Impossibile, infatti, vivere in Qatar, dove ha sede l'emittente e dove il sesso fuori dal matrimonio è illegale. Come quindi è illegale la relazione con il suo compagno e padre del bambino, Jim Huylebroek, con il quale non è sposata. Trasferitasi in Belgio, Paese natale di Huylebroek, non ha potuto restarvi a lungo in quanto non residente. La Nuova Zelanda, suo Paese di origine, ha respinto la sua richiesta di rimpatrio e di emergenza. E ha posto una serie di ''tecnicismi, confusione e clausole'' che hanno impedito il suo rientro in patria, come ha raccontato la stessa giornalista a Rnz.
Bellis è stata così costretta a tornare in Afghanistan, unico altro Paese dove lei e il suo compagno hanno vissuto e per il quale hanno il visto, come ha scritto sul New Zealand Herald. ''Capisco che volesse tornare in una data specifica e so che i funzionari l'hanno contattata per ulteriori informazioni poco dopo aver esaminato la sua domanda. I criteri di assegnazione di emergenza includono l'obbligo di recarsi in Nuova Zelanda entro i prossimi 14 giorni. La signora Bellis ha detto che non intendeva viaggiare fino alla fine di febbraio'', ha risposto il ministro neozelandese Chris Hipkins che si occupa dell'emergenza Covid-19.
"So anche che le è stata offerta assistenza consolare neozelandese due volte da quando è tornata in Afghanistan all'inizio di dicembre", ha aggiunto il ministro. I criteri di assegnazione di emergenza includevano la gravidanza, ha spiegato il ministro. "Ciò include le cure mediche se una madre è all'estero e non può ottenere le cure necessarie dove si trova, e consente alle persone di tornare urgentemente in Nuova Zelanda per fornire cure a una persona a carico, come il coniuge o il partner che è incinta", ha proseguito.
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