Il caffé vola: tazzina sempre più amara nel prezzo
L'ultima analisi ha evidenziato come il suo indice composito (I-CIP) sia salito su marzo del 16,4%, raggiungendo il massimo degli ultimi 13 anni
Difficile pensare al caffé come bene rifugio, vista anche l'impossibilità di accumularne scorte in maniera efficiente e duratura (come invece avviene per i metalli preziosi), ma di sicuro fra le commodity agricole i risultati delle ultime settimane fanno impallidire altre forme di investimento come testimoniato oggi dal rapporto di aprile 2024 dell'Organizzazione internazionale del caffè (ICO) che ha evidenziato come il suo indice composito (I-CIP) sia salito su marzo del 16,4%, raggiungendo il massimo degli ultimi 13 anni. Leggermente più alto il valore dell'indice relativo alla qualità Robusta aumentato del 16,8%, toccando il livello più alto dal luglio 1979. L'Ico segnala poi un aumento a marzo delle esportazioni globali pari a 11,87 milioni di sacchi, rispetto ai 10,85 milioni di sacchi dello stesso mese dell’anno precedente, in aumento del 9,4%.
Insomma, un mercato che 'corre' spinto da diverse tendenze, dalla crescente popolarità globale della bevanda (che e' andata a minacciare anche altre forme di beverage 'premium') ai timori legati a una produzione a rischio per fattori meteorologici.
Come sottolineava in una recente analisi Ben Laidler, Global markets strategist di eToro, "il maltempo continua a mietere vittime tra le commodity agricole e a farne le spese è il caffè, i cui prezzi sono aumentati vertiginosamente quest’anno, volando a un +25%, a causa di condizioni meteorologiche avverse che hanno colpito i raccolti dei maggiori produttori come il Brasile, leader nella produzione di arabica, e soprattutto il Vietnam, grande coltivatore di robusta".
L'arabica, che rappresenta il 60% dell'offerta totale, è la varietà più delicata e più difficile da coltivare e domina il mercato del caffè macinato, mentre la robusta prevale in quello del caffè istantaneo ed è in media più economica del 30%, anche se questo sconto, alla luce delle difficoltà del Vietnam, potrebbe adesso venire a deteriorarsi.
"Nonostante la produzione globale sia stata vista in aumento del 6%, questo calo dell'offerta rappresenta una minaccia per le previsioni dell'ICO, l’Organizzazione Internazionale del Caffè, che dopo due anni di grandi deficit stimavano finalmente un ritorno a un piccolo surplus del mercato del caffè quest'anno".
"E se i chicchi rappresentano solo una frazione del prezzo finale del caffè - continuava Laidler - è probabile che quest'ultimo aumento del costo della materia prima si sommi al rincaro della manodopera e dell'energia, così come alle strategie aziendali basate sui prezzi: i produttori e le catene di caffè, da Nestlé a Starbucks, continuano infatti a perseguire strategie di 'premiumisation', offrendo prodotti o servizi di qualità superiore (e quindi a prezzi più alti), per soddisfare la ricerca di esclusività della clientela".
Peraltro quello del caffé è solo l’ultimo caso di impennata nei prezzi di prodotti agricoli determinata dalle dinamiche di offerta, dopo quella relativa al succo d’arancia nel 2023 e al cacao nei primi mesi di quest’anno. L'agricoltura è diventata così il comparto delle commodity che ha registrato le migliori performance nel 2024, con un aumento del 27%, rispetto al modesto del 4% delle materie prime in generale.
Ma questa corsa dei prezzi aumenta i timori degli operatori, anche nel nostro paese. Nei giorni scorsi Altoga (Associazione Nazionale Torrefattori, Importatori di Caffè e Grossisti Alimentari) aderente a Federgrossisti-Confcommercio ha parlato di una "una ‘tempesta perfetta’ che sta destando forte preoccupazione tra le imprese di torrefazione italiane per i conseguenti pesanti incrementi dei costi e che, se dovesse persistere, potrebbe portare ad una rivisitazione dei listini".
Negli ultimi 6 mesi le quotazioni di borsa del caffè Robusta hanno registrato un rialzo di oltre il 90% (da 2.200 a 4.195 dollari la tonnellata), quelle della varietà Arabica del 55% (da 155,25 a 239,85 centesimi la libbra). A questo si somma l'impatto del rafforzamento del dollaro sull’Euro, dell’aumento dei costi del carburante, alla necessità di evitare il passaggio nel Mar Rosso con conseguente aumento di tempi e costi di percorrenza delle navi provenienti da Oriente, alla scarsa reperibilità di containers che perdura a livello mondiale e ai maggiori premi assicurativi richiesti sulla base dei rischi connessi alla mancata consegna. Il risultato - spiegava Altoga - è che questi fattori incidono sui costi di importazione del caffè fino al 50% in più rispetto a 6 mesi fa. Il risultato, insomma, è che se il chicco di caffé (sotto forma di futures) potrebbe diventare il prossimo investimento 'ricco' sui mercati globali, per i consumatori il costo di una tazzina rischia di essere molto 'amaro', indipendentemente dallo zucchero utilizzato.
Commenti