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Ri-abitare gli edifici sacri

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Succede spesso che l'architettura si faccia portavoce di una società che cambia, riportando su di essa gli effetti di un progresso o di un declino

Succede spesso che l'architettura si faccia portavoce di una società che cambia, riportando su di essa gli effetti di un progresso o di un declino. E' questo il caso delle chiese e dei monasteri che vengono dismessi sempre più frequentemente. Quello degli edifici sacri abbandonati è un dato crescente al quale stiamo assistendo già da un po'.

Il problema dell'abbandono e cambio di destinazione d'uso non è negli edifici stessi per carenze strutturali, ma è da ricercare nella religione, intesa come riunione sociale.

Forse ci portiamo dietro la scia dell'Illuminismo, quando si diffuse una certa avversione alla religione in nome della cultura, fatto sta che ancora adesso nel mondo occidentale assistiamo ad una riduzione del numero di persone che frequentano i luoghi religiosi e conseguentemente al loro abbandono o alienazione.

Il fatto che le persone abbandonino la religione è sicuramente sintomo di un malessere del mondo contemporaneo ma forse, che gli edifici sorti per scopi religiosi cambino destinazione d'uso, può essere considerato anche come un'opportunità.

Poichè sono solidi, ben costruiti, con materiali il più delle volte pregiati, e spaziosi, rappresentano sicuramente un bacino allettante per la speculazione immobiliare che si è messa subito in moto per aggiudicarseli. Ma per tutelare gli edifici di loro pertinenza, le autorità religiose hanno redatto delle indicazioni su come condurre le relative cessioni, per evitare che tali immobili finiscano in usi impropri, richiedendo che le loro alienazioni o cambi d'uso avvengano pur mantenendo una certa coerenza con l'origine.

Nell'epoca della globalizzazione, un compito importante spetta sicuramente alle comunità locali, che si riconoscono in una cultura veicolata dalla religione, di trovare il modo perchè tali edifici continuino a comunicare nonostante il mutare delle condizioni.

In realtà da sempre sono avvenute trasformazioni di questo tipo e nel corso dei secoli abbiamo assistito a vari casi di straniamenti subìti da chiese o moschee che, vicendevolmente, si sono ritrovate a ricoprire una la funzione religiosa l'una dell'altra, a seconda di come in un determinato periodo, la società o il regnante ne abbia definito l'uso.

Un esempio eclatante è la Moschea-Cattedrale di Cordoba. Pare che all'inizio fosse una moschea, realizzata a partire dal 784 quando la città fu presa sotto il controllo di un emiro ma, ancor prima, che sul sito ci fosse una piccola chiesa cristiana dedicata a San Vicent de Lérins. Dopo, nell’ambito di quel lungo processo storico conosciuto come Reconquista, fu trasformata in chiesa cattedrale e l’opera fu completata nel XVI secolo.

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Oggi è conosciuta come “moschea-cattedrale” ed è considerata uno dei massimi monumenti dell’architettura islamica in Spagna. La sua grande sala di preghiera ha una copertura retta da 856 colonne in parte provenienti da un precedente tempio romano che stava sullo stesso sito.

È merito dei governanti cristiani di aver mantenuto la struttura originaria di moschea pur adattandola alle esigenze del culto cristiano, se oggi la crescente comunità musulmana composta da immigrati in prevalenza marocchini chiede di poter usarne ancora lo spazio per i propri riti.

Ma non si tratta di un caso isolato, ne esistono diversi soprattutto in Sapgna e Portogallo. Ancora, ne è l'esempio la grande basilica di Santa Sofia a Costantinopoli che fu eretta nel VI secolo e dal 537 al 1453 fu cattedrale ortodossa. Dopo la conquista musulmana di Costantinopoli divenne moschea e tale rimase sino al 1931.

Nel 1935 divenne museo: chi la visita oggi prova un certo spaesamento. Perché l’edificio ha impressi i caratteri della chiesa, non della moschea né tanto meno del museo. Tutto appare incongruo in essa. Nel luglio 2020 il Presidente turco Erdogan ha voluto ritrasformarla in moschea, con risultati discutibili sotto il profilo architettonico.

Ma nonostante figurino incongruenze simboliche o artistiche all'interno di esse, rimane un permanente senso intrinseco dell'edificio dovuto al “significatus” originario della creazione. Vi sono tanti altri casi di straniamenti, poiché già da tempo molte chiese sono state vendute a privati che ne hanno fatto un uso improprio. Molte sono divenute bar o ristoranti, abitazioni, studi professionali o addirittura night club. Monasteri che, più coerentemente con la destinazione originaria, sono divenuti sedi universitarie o alberghi.

In Italia, il caso della ex chiesa di San Giuseppe ad Asti che venne tramutata in sala da biliardo, suscitò la protesta di alcuni cittadini, per cui nel 2016 divenne un teatro comunale, certamente un cambio d'uso più consono per il valore culturale e comunitario, abbandonando il senso profanatorio di mero passatempo ludico e competitivo.

Tornando ad affrontare concretamente il problema di queste ormai numerose dismissioni, si potrebbe tener conto che viviamo attualmente in una società inclusiva dove ci troviamo a convivere con orde di turisti provenienti da ogni parte del mondo ma anche con flussi giornalieri di migranti che cercano qui una nuova casa o un rifugio sicuro dalla guerra.

Perchè allora non pensare alle ex chiese e monasteri come ad un nuovo luogo per un'accoglienza improntata sull'incontro culturale, dove spiegare i fondamenti della nostra civiltà? Tentare quindi di mantenere salde le nostre origini pur accogliendone di nuove? Potrebbe essere questo forse un modo per convivere meglio con persone che giungono qui da civiltà anche molto lontane e diverse dalla nostra, sullo sfondo di un'integrazione alla quale forse non siamo ancora del tutto pronti.

1 anno fa
Autore
Eleonora Zorzato, progettista d'interni, giardini ed habitat designer

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