Cookie Consent by FreePrivacyPolicy.com
Loader

Le urne in Spagna dicono stop al progetto Ppe-Ecr in Ue

elezioni spagna.jpg

L'analisi del turno elettorale da parte di Steven Forti, docente di Storia Contemporanea all'Università di Barcellona e autore di un volume sulle nuove destre

La sconfitta di Vox nelle elezioni politiche in Spagna rappresenta sicuramente una "battuta d'arresto" per il progetto di costruire una maggioranza in Ue centrata sull'asse Popolari-Conservatori, con l'eventuale contributo dei Liberali. Almeno per ora, lo scenario più probabile sembra quello di una riedizione della 'maggioranza Ursula', che portò all'elezione di Ursula von der Leyen grazie anche ai polacchi del Pis (e ai Cinquestelle). Ma "non ci metterei la mano sul fuoco", anche perché non è affatto detto che a Madrid non si debba tornare alle urne tra cinque-sette mesi. A dirlo è Steven Forti, docente di Storia Contemporanea all'Università Autonoma di Barcellona e autore di un volume sulle nuove destre spagnole ed europee ("Extrema derecha 2.0", Siglo Editores).

Per Forti, il leader del Pp Alberto Nunez Feijòo "non ha alcuna possibilità di diventare capo del governo, a meno che non scoppi una bomba atomica. Gli scenari sono due: o c'è una ripetizione del voto, perché nessuno riesce a essere eletto, o alla fine si trova una quadra per un qualche tipo di aritmetica parlamentare, che comporterebbe non l'appoggio esterno di Junts per Catalunya, ma semplicemente l'astensione, che faciliterebbe l'investitura di Pedro Sanchez. In Spagna alla prima votazione il candidato deve ottenere la maggioranza assoluta, ma alla seconda occorrono più sì che no. Se al Psoe e Sumar, che fanno 153 seggi, sommiamo i 19 dei partiti che avevano già appoggiato la coalizione di centrosinistra nella scorsa legislatura (Esquerra Republicana, Partido Nacionalista Vasco, Bloque Nacionalista Vasco e i nazionalisti 'abertzale' di Eh Bildu, ndr) si arriva a 172".

La destra, tutta insieme, "conta 169 seggi, tra Ppe e Vox, più un voto del Partito Nazionalista Navarro e uno della Coaliciòn Canaria, che non ha molto a che fare con Vox ma è di centrodestra: in tutto, 171. L'astensione di Junts sarebbe sufficiente: detto questo - avverte - bisogna capire cosa faranno, perché Carles Puigdemont è per la strategia del 'tanto peggio, tanto meglio' perché, se governasse la destra a Madrid, si infiammerebbe di nuovo l'ambiente, in Catalogna e nei Paesi Baschi. Questo, secondo Puigdemont, rivitalizzerebbe il movimento indipendentista, che ha avuto un consenso molto più basso rispetto al passato". 

Carles Puigdemont e altri dirigenti, continua Forti, "hanno detto che non appoggeranno mai un governo di Pedro Sanchez. Ma, in una situazione di lotta per l'egemonia dentro l'indipendentismo catalano con Esquerra Republicana, le loro rivendicazioni sono due: un referendum sull'autodeterminazione legale, concesso dallo Stato, cosa inaccettabile perché non è previsto dalla Costituzione; due, l'amnistia. Sanchez ha concesso gli indulti ai leader indipendentisti processati nel 2017 e condannati nel 2019. Puigdemont è latitante per la giustizia spagnola: chiede l'amnistia. E' una questione complessa, perché pesano non solo il clima mediatico spagnolo, che accuserebbe Sanchez di essere un traditore, ma anche le pressioni dalla base rurale del partito, che hanno posizioni molto dure contro l'indipendentismo; e poi alcuni settori della magistratura, che in questi ultimi anni" hanno agito come "una specie di 'Deep State'. Ora tutti dovranno sedersi e capire quali sono i margini di manovra".

E' vero, continua Forti, che "in Junts per Catalunya l'ala radicale di Carles Puigdemont ha in mano il partito", ma è altrettanto vero che Junts "non sta andando bene. Ieri ha tenuto, ma alle recenti elezioni comunali ha preso una bastonata. Ci sono settori dentro il partito che sarebbero favorevoli ad un ritorno al modello di Covergència i Uniò, che era un partito autonomista di gestione del potere. Secondo me si aprirà anche una tensione dentro il partito, perché qualcuno dirà: 'Abbiamo l'occasione d'oro di far pesare i nostri voti: che facciamo?'".

Per il progetto di alleanza europea tra Ppe e Ecr, posto che abbia delle basi numeriche, il risultato del voto in Spagna è "assolutamente" una battuta d'arresto. Ad oggi, la prospettiva meno improbabile sembra essere una riedizione del voto del 2019 a Strasburgo, con Ppe, Socialisti e Liberali, più altri pezzi presi qua e là, anche a destra: "E' quello che era successo nel 2019 - ricorda Forti - con Ursula von der Leyen. Credo che questo sia lo scenario più probabile dopo il voto di ieri in Spagna. Il progetto sicuramente si complica molto: conquistare Madrid avrebbe cambiato le carte in tavola, dando un impulso a quel progetto. Ciò detto, la mano sul fuoco non ce la metterei, per due ragioni. Primo, ci sono elezioni in Olanda e in Polonia: è vero che sono contesti diversi, ma la Polonia è importante perché c'è una lotta tra il Pis (gruppo Ecr, ndr) e Piattaforma Civica (gruppo Ppe, ndr). E poi, attenzione: se si torna a votare tra sei mesi in Spagna, bisogna vedere che cosa succede nello scenario europeo, in quel momento. Ma, per ora, è chiaramente una battuta d'arresto". 

Per Forti, a determinare la sconfitta subita da Vox hanno concorso "tre fattori. Primo, quello che era stato definito l'azzardo di Pedro Sanchez di convocare elezioni anticipate dopo le amministrative del 28 maggio, si è rivelato una mossa vincente, perché finire la legislatura sotto assedio avrebbe significato finire fritto e arrosto". La prospettiva di un accordo tra destra e centrodestra "ha sicuramente mobilitato l'elettorato: i Socialisti hanno guadagnato un milione di voti, rispetto al 2019. Con un Sanchez dato per morto da tutti, è un ottimo risultato".

Secondo, continua, la campagna elettorale è stata "molto polarizzata, in un Paese molto polarizzato e ha comportato il voto utile. In Spagna il voto si è frammentato nell'ultimo decennio, con Podemos, Ciudadanos e poi Vox. Sia a sinistra che a destra, il voto di ieri ha dimostrato come i grandi partiti abbiano recuperato molti votanti, che avevano perso nell'ultimo decennio. I Socialisti si sono presi un milione di voti; i Popolari si sono mangiati Ciudadanos, che non si è neanche presentato alle elezioni, e hanno anche mangiato un po' di voti a Vox".

"Nel 2019 - sottolinea Forti - i grandi partiti spagnoli sommavano meno del 50% dei voti totali; ieri sono arrivati al 64% e qualcosa. Questo ha comportato che Vox e Sumar giocavano in un contesto in cui il richiamo al voto utile da parte di Sanchez e Feijòo ha avuto un certo effetto. In ultimo, Vox ha dimostrato di non avere alcun tipo di discorso per il Paese, se non un discorso molto 'trumpista' di delegittimazione dell'avversario. Poi, certo, in altri contesti questo discorso ha funzionato, quindi si può discutere. E attenzione: la destra non ha perso voti rispetto a maggio. Ha mantenuto ipermobilitato il suo elettorato ma, rispetto alle amministrative", la differenza è che "la sinistra ha rimobilitato i suoi, che invece a maggio in parte erano rimasti a casa. La paura dell'estrema destra era molto presente", conclude.

1 anno fa
Autore
Massimo Risultato

Commenti