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La politica mutua il linguaggio dal calcio: choc Letta e Salvini

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Le frasi dei due leader rimandano ai peggiori e banali esempi dello sport più popolare, confondendo sportivi ed elettori

La bellezza della politica è che a volte, se non spesso, ha mutuato il suo linguaggio dal calcio. In questa tornata elettorale amministrativa, fondamentale non per il classico tagliando per nome e conto del governo centrale ma per il proseguo della ripresa (il premier Mario Draghi è untouchable, giusto per sgomberare il campo a equivoci più da romanzo distopico che da fantapolitica) ecco che vittorie e sconfitte prendono in prestito il lessico famigliare dello sport più amato dagli italiani.

E non fanno eccezione né vincitori né vinti. Il dominatore della giornata elettorale Enrico Letta, leader del Pd e neosenatore, getta acqua sul fuoco come il più paternale degli allenatori nello spogliatoio dopo che la squadra ha maramaldeggiato sull’avversario: “abbiamo vinto ma non sono felicissimo, abbiamo vinto troppo, quando si vince troppo poi succede un casino” (giuro, ha detto così, ospite a Forrest su Radiouno Rai).

Andiamo sull’altro fronte. Nel calcio, gli allenatori sconfitti quando non sanno a cosa appigliarsi colpevolizzano il terreno di gioco, il tifo contro, il lavoro sporco dei giornalisti che hanno caricato l’ambiente contro di loro ma soprattutto il caldo afoso e torrido e l’incapacità dei giocatori di stare in campo, deresponsabilizzandosi e gettando la croce sui calciatori stessi, dandoli così in pasto ai tifosi delusi. Infatti, già dopo il primo turno e l’aria di Caporetto, il leader della Lega Matteo Salvini si era autoassolto dicendo che “erano stati scelti candidati sbagliati, con decisioni maturate in fretta”. Un concetto inascoltabile e inaccettabile, sia per i tesserati di centrodestra che per gli stessi candidati oltre che per il popolo (ma non si candidano i migliori che dovrebbero governarci?!). Una sorta di clamorosa offesa e di eccessiva e puerile indulgenza verso se stessi quando si sbaglia (ma non si ammette). Come se un allenatore dicesse: “ho mandato in campo la rosa che avevo a disposizione ma i giocatori si sono espressi male: è solo colpa loro”.

Ma veniamo a ieri, dopo l’esito del ballottaggio. Salvini dà il meglio di sé (si fa per dire) quando negli spogliatoi, pardòn in conferenza stampa, dice che “la maggioranza dei sindaci eletti del centrosinistra è stata eletta dalla minoranza della minoranza”, alludendo al chiaro assenteismo che ha imperato in queste amministrative. Come se l'altra parte politica non ne avesse sofferto. Tradotto, nel linguaggio pallonaro sarebbe “il caldo ci ha impedito di esprimerci al meglio. E così il loro primo gol ci ha letteralmente tagliato le gambe”. Poi, quando un cronista fa notare che in un sistema democratico vige la regola della maggioranza degli aventi diritto che si reca alle urne ecco che la memoria viene aggredita dall’esempio calcistico: “mister, scusi, l’afa avrebbe dovuto annebbiare le idee anche all’avversario”. Il mister (o il politico, fate voi a questo punto) ti fissa e la risposta è vitrea e silente. Cosa che andrebbe fatta quando non si ha nulla da dire. Sia nel calcio che nella politica.

3 anni fa
Autore
Gian Luca Campagna

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