Ora Putin dovrà motivare i morti russi alle loro famiglie
Il generale Marchiò: "In questo modo ora Mosca dovrà raccordare la propaganda con la realtà dei fatti"
''La Russia ha portato avanti una propaganda serrata raccontando alla popolazione che questa è un'operazione speciale, un'attività quasi di routine, tutta in discesa. Adesso dover giustificare migliaia di morti diventa un problema. A mio avviso è un tentativo per cominciare a raccordare quello che era stato il disegno propagandistico con la realtà, perché comunque questi ragazzi non tornano a casa. I genitori, le famiglie, gli amici si interrogano su come sia possibile che soldati andati a fare un'operazione quasi di routine poi siano rimasti uccisi in Ucraina''. Lo dice il generale Riccardo Marchiò, già alla guida del comando operativo della Nato di Brunsumm in Olanda (Allied Joint Force Command Brunssum), commentando le dichiarazioni del portavoce di Putin, Dmitry Peskov, le gravi perdite dell'esercito russo.
''Non ho idea di quale possa essere la situazione interna alla Russia, però dobbiamo immaginare che le migliaia di morti hanno un peso enorme all'interno del Paese - aggiunge - Senza voler fare dei confronti la guerra in Vietnam è stata persa più sul fronte interno che non sul campo. E' vero che l'America è un Paese di altra levatura democratica rispetto alla Russia, però chiaramente quando cominci ad avere le famiglie che piangono i soldati devi anche trovare una giustificazione. Questa è una mia personalissima interpretazione. E' difficile nascondere i morti. Certamente ritengo che sia una forma di attenzione nei confronti della propria opinione pubblica ma è obbligata perché è impossibile nascondere una cosa del genere. Probabilmente Putin nutre la preoccupazione che a lungo andare questa cosa non venga più giustificata neanche dalla popolazione''.
''Leggevo in questi giorni che sembra che l'apprezzamento per il presidente Putin sia enorme, bisogna capire se anche questa è una forma di propaganda oppure se rispecchi la realtà - prosegue il generale - Però anche quest'apprezzamento si logora nel momento in cui il Paese paga un prezzo così sproporzionato. Più uno ritarda a dire la verità in questi casi, più poi è scoperto, perché non è che puoi nascondere che questi uomini sono morti durante un'operazione. E tanto più ci si ostina a non chiamarla guerra, tanto più riesce difficile far capire alla gente perché questi ragazzi muoiono''.
''Quando siamo stati impegnati in quelle che venivano definite per leggerezza giornalistica 'operazioni di pace', che non erano guerre ma che comunque comportavano risposta ad azioni ostili o conflittuali - spiega - andare a spiegare a un genitore che un figlio muore in un'operazione di pace poi è una cosa abbastanza difficile - conclude - La cosa migliore è dire sempre la verità''.
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