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Quel diritto alla vita e alla morte

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L'eutanasia in Italia non è ancora un diritto eppure continua la lotta come una battaglia di civiltà

Non chiediamo noi di venire al mondo, non sappiamo quando nasciamo, ma possiamo decidere quando e dove morire. Non si può scegliere la data di nascita ma sì quella di morire. Per la quarta volta, ieri, in Italia è morta una persona che ha chiesto il suicidio assistito. Così, niente più viaggio in Svizzera e niente più sentenze per favoreggiamento per chi ha aiutato queste persone disperate a richiedere aiuto per morire in una clinica dell’eutanasia. Ora si può scegliere di morire anche in Italia. Il diritto a morire per chi vive una condizione di vita senza indipendenza è una battaglia di civiltà, perché è porre fine alle sofferenze fisiche e psicologiche di un essere umano. Così, ieri è morta Gloria, una paziente oncologica veneta di 78 anni, la prima persona nel nostro Paese ad aver ottenuto la consegna del farmaco da parte dell'azienda sanitaria. Ora salgono a quattro le persone che in Italia hanno deciso di somministrarsi il farmaco letale e farla finita. 
Ma ci sono altre due storie che si collegano e che ci portano a riflettere, facendoci capire quanto importante sia avere una facoltà di scelta e non essere ‘costretti’ a vivere. 
La prima è una sentenza di condanna in secondo grado comminata qualche giorno fa al presidente di Exit Italia Emilio Coveri, che era stato assolto in primo grado: i giudici hanno applicato la legge che punisce chi come soluzione alla sofferenza indica la morte e non la cura. 
A uccidersi, in un centro specializzato in suicidi assistiti di Zurigo nel marzo 2019 una 47enne maestra siciliana, sofferente di depressione e di un grave disturbo articolare che le provocava intenso dolore, a cui il leader politico Coveri aveva fornito suggerimenti “che chiunque poteva recuperare sul web” ha detto a La zanzara qualche giorno fa. Per i giudici invece l’uomo “ha fornito un contributo causale idoneo a rafforzare un proposito suicidario prima incerto e titubante su una persona affetta da patologie non irreversibili benché dolorose, anche perché non ben curate, sfruttando l'influenzabilità della donna per inculcare le sue discutibili idee di suicidio assistito come soluzione alle sofferenze fisiche e morali della vita”. Ora Coveri rischia 4 mesi di carcere. 
L’altra storia invece è ancora più commovente: lui si chiama Mario, amava la folle velocità delle moto ma un incidente lo ha reso tetraplegico. Lui si è battuto sempre contro l’Asur Marche per ottenere il farmaco che lo avrebbe ucciso, così dopo anni di battaglie il paziente tetraplegico ha vinto. Ma un paio di giorni fa il clamoroso dietrofront, perché se è vero che le sue “condizioni sono peggiorate, ma ora che ho la chiave per uscire dalla prigione del corpo ogni attimo mi sembra prezioso e ho rinunciato a morire” ha raccontato. 
Esatto, la facoltà di scelta può far anche tornare la voglia di ‘amare’ la vita. “Vi sembrerà pazzesco ma sapere di poter morire ti fa riscoprire la vita, è la medicina palliativa più forte di tutto. In me non è cambiato il corpo, ma la testa. Non sono più depresso” ha detto in una toccante intervista a la Repubblica. E lì, la meravigliosa riscoperta di una serie di piccole grandi cose ordinarie che ti fanno amare il quotidiano: “l’odore del mare, una birra con gli amici, sentire un concerto, un buon pezzo di hard rock, la gioia di mia madre nel vedere che sono ancora qui. Il mio futuro è fatto di un giorno dopo l’altro in cui assaporo ogni dono che la giornata mi offre. L’aria, la luce, l’odore del caffè. Piccole, enormi cose”. Che meraviglia la vita. E che meraviglia la possibilità di poter scegliere la morte. O tornare alla vita. 
1 anno fa
Foto: pixabay
Autore
Gian Luca Campagna

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