2021, fuga dal voto ma i partiti torneranno tra la gente
Quali i motivi dell'astensionismo? Come reagire al vuoto delle cabine elettorali? Basta coi social e ritorno all'Agora Democratica?
Come scappare dal voto, tenendosene alla larga. Niente comicità, siamo seri, ma questo deve essere il punto di partenza per poter vivere da parte dei partiti una nuova stagione politica. Con la gente. E sì, perché uno degli slogan più abusati di sempre deve tornare probabilmente di moda se quella gente ora si tiene alla larga dalle cabine elettorali. Colpa di una realtà virtuale che ha dimostrato tutte le sue lacune e i suoi black-out in un momento in cui venivano diffusi i risultati elettorali? Colpa delle dolci attrattive nella comfort zone casalinga nella coda dell’emergenza Covid? O reale scollamento tra Palazzo e gente? Forse di tutto un po’.
Sta di fatto che dalla fredda analisi dei numeri è necessario ripartire quando si vuole chiarezza con gli altri e, soprattutto, con se stessi, utilizzando lo strumento dell’autocritica. Intanto però partiamo dai dati reali e da qualche reazione ragionata.
Il ritorno al bipolarismo pare un aspetto nient’affatto marginale, almeno ragionando attorno ai numeri dei 19 capoluoghi di provincia e in attesa del totale dei ballottaggi (62, quindi abbracciando anche la forbice degli altri Comuni superiori ai 15mila abitanti). Il M5S, fiaccato negli anni dalle divisioni interne, dalle espulsioni telecomandate e da un sistema interno mai democratico, è rimasto a galla almeno nelle grandi realtà soltanto quando si è alleato con il Pd, valorizzando così la sua anima progressista. Una partita importante sarà Roma, dove il candidato al ballottaggio ‘rosso’ Gualtieri flirta sia con Conte che con Calenda, mentre Michetti del centrodestra continua a dire di serrare i ranghi, forse intuendo (eufemismo) che ha modesti margini di manovra. Ecco, Gualtieri chiama Conte e non la Raggi, perché ormai l’uomo forte del M5S è l’ex premier, di sicuro quello che gode di maggiore credibilità nello scacchiere giallo.
Torniamo ai dati dell’astensionismo. O delle presenze votanti. Appena il 54,7%, ben 7 punti in meno delle precedenti amministrative del 2016. La Lega, campione di consensi, ha segnato il passo almeno nelle grandi città, con i gemelli FdI invece a crescere. Tanto per citare un paio di esempi: a Milano le due forze sono quasi pari, a Roma la Lega registra un tonfo (dal 25,8 delle europee del 2019 al 5,9% delle comunali, mentre FdI dall’8,7 arriva al 17,42%; ancora, a Torino la Lega scende dalle europee col 26,9% al 9,84% mentre il partito della Meloni sale da 5,5 al 10,47%). Alla fine va data ragione proprio a Giorgia Meloni quando dice che l’astensionismo non è una sconfitta dei partiti ma della democrazia, perché manca la partecipazione della gente.
E mentre Matteo Salvini imputa la sconfitta all’improvvisazione nella scelta dei candidati, quasi gettando addosso la croce a chi aveva accettato la candidatura a sindaco, e preparandosi al duello finale con Giorgetti per il futuro della segreteria se si dovesse confermare il trend negativo anche la sera del 18 ottobre, c’è chi invece sulle ali della vittoria si organizza immediatamente. Annusando già l’aria da tempo il segretario del Pd Enrico Letta, galvanizzato anche dalla nuova nomina in Parlamento nelle suppletive toscane, ha avviato una strategia di politiche attive nei territori, chiamando a sé l’ala moderata dei 5S, tendendo la mano a Iv e abboccando anche a Forza Italia, abbandonando il distacco delle dirette social, scansando Belve e affini, e organizzando quell’Agora Democratica che, chissà, darà inaspettati frutti alla luce del nuovo ritorno del contatto umano. Cioè, lo stare tra la gente.
Commenti