Scacchi, indagini e misteri: ecco il romanzo di Rita Cascella
Il funzionario di Polizia in ‘Scacco matto. Il re è morto’ racconta una storia di provincia con risvolti internazionali
Poliziotta o scrittrice? Semplicemente Rita Cascella. Donna energica, sensibile, risoluta, acuta, il funzionario di pubblica sicurezza Rita Cascella (nata a Latina nel 1965) oggi è anche una (brava) scrittrice. Investigatrice e dirigente in varie Questure di diverse città (Perugia, Assisi, Prato, Cisterna di Latina, Terracina, Pesaro, Oristano e oggi Treviso), ecco un avvincente romanzo a sua firma, che porta in dote sì le tante indagini ma anche i suoi continui studi (oltre la laurea in Legge anche quella inScienze delle Pubbliche Amministrazioni): forse ‘Scacco matto. Il re è morto’ (Abrabooks) è una sintesi di tutto questo. Siamo a Terni, all’interno di un torneo internazionale di scacchi trasmesso in diretta TV c’è una morte improvvisa, quella della campionessa russa Galina Kozlov. A indagare la giovane commissario Beatrice Pergolesi, sospettosa di un evento criminale, subito in contrasto con l’arrogante dirigente della Squadra Mobile, Luigi Mantovani detto “lo squalo”. Per uno scherzo del destino, il pubblico ministero a cui viene affidato l’incarico è Vittorio Volpi, marito della Pergolesi, che si ritroverà nuovamente a condividere con Beatrice piste, dubbi e congetture, senza però farle sconti professionali.
Dopo tanti anni in trincea come poliziotta e commissario e ora come dirigente perché la scelta di scrivere un romanzo?
Ho sempre avuto il desiderio di scrivere un romanzo ma non ho mai trovato il tempo fino al triste periodo del COVID quando, a causa delle ulteriori responsabilità dell’incarico ricoperto (ero già Vicario del Questore), è subentrata l’insonnia. Invece che contare le pecore, ho iniziato a scrivere e pian piano il sonno arrivava. Diciamo quindi che la scrittura, per quanto mi concerne, ha avuto anche una valenza “terapeutica”.
Qual è stata la molla che ti ha spinto a scrivere questa storia: voglia di evasione, voglia di verità, scommessa con te stessa?
Sicuramente voglia di verità, o per meglio dire, voglia di dimostrare che ciò che appare molto spesso non è. E la verità è un bene assoluto che va sempre ricercato, soprattutto in una società che dà eccessivo valore all’immagine più che al contenuto.
Hai scelto la forma letteraria del romanzo per essere più libera di esprimerti?
Sì, il romanzo lascia all’autore la libertà di raccontare e far dire ai suoi personaggi ciò che vuole, consentendo di far emergere la visione che della realtà ha l’autore. Un altro genere letterario che vorrò sperimentare, se potrò proseguire in questa avventura, è il genere epistolario, molto più intimistico e sicuramente più complesso, ma che reputo assai affascinante.
Quanto l’operatività professionale nel corso della carriera ha arricchito questa storia.
I miei ormai 33 anni di professione certamente costituiscono una variopinta scatola dei ricordi da cui attingere a piene mani, ma non scrivo mai di fatti realmente accaduti bensì di eventi verosimili. Questo perché bisogna portare sempre rispetto alle persone reali e ai loro familiari. Lo ritengo un obbligo morale. Perché hai scelto di raccontare una spy story partendo dal gioco degli scacchi? C’è un’assonanza tra la sfida sportiva mentale di due giocatori e quella tra autore e lettore?
C’è un’assonanza, ma non tra autore e lettore, bensì tra il gioco degli scacchi che è espressione di strategie mentali, e le indagini che sono esercizio di intelligenza nel senso letterale della parola: “intelligentia” da “inter- ligere” ossia scegliere tra più soluzioni quella giusta, quindi tra più piste investigative arrivare a trovare il vero omicida.
In Italia da anni il romanzo giallo e noir è diventato il genere della denuncia sociale, così molti cronisti che non trovano spazio nelle testate giornalistiche per esprimere il proprio dissenso si ‘sfogano’ nelle architetture narrative della fiction. Il che significa che abbiamo guadagnato bravi romanzieri ma abbiamo perso bravi cronisti. Sei d’accordo su questa analisi?
No, non direi. Il giornalismo d’inchiesta resta un contributo importantissimo per la ricerca della verità. Vi sono cronisti che, seppur dopo anni, hanno messo in discussioni indagini mal risolte o non risolte affatto. È il motivo per cui nutro grande stima per i giornalisti d’inchiesta il cui prezioso lavoro spesso ha portato alla riapertura di indagini.
I romanzi gialli e noir italiani spesso sono ambientati nella provincia dei campanili. Molti dicono perché il Male è più spietato e feroce nei microcosmi piuttosto che nelle grandi città. Tu cosa ne pensi?
Il Male purtroppo si annida ovunque, ma nei centri più piccoli lo si riesce ad individuare prima e meglio, sia perché vi è ancora un certo “controllo sociale” o di “vicinato”, sia perché si combatte contro numeri più bassi di abitanti e quindi di reati. Certamente da un punto di vista meramente narrativo ambientare un noir in una provincia consente di caratterizzare con maggior dovizia di particolari i luoghi ed i protagonisti, ma la ferocia degli assassini prescinde dalle dimensioni del luogo. È il Male che si incarna, senza confini spaziali.
Leggendo la trama del tuo romanzo sembra che un pezzo di mondo sia stato catapultato in una apparente tranquilla provincia italiana e invece poi ecco che si prende il volo verso il Brasile. Perchè poi questa virata narrativa internazionale?
Perché ormai siamo cittadini del mondo, le distanze si annullano in un attimo e la tecnologia frammenta i chilometri in una manciata di secondi. E poi… chi non vorrebbe fare un salto sulle spiagge brasiliane, anche se solo con la fantasia? Io porto i miei lettori a zonzo, come nel mio primo giallo ‘La stirpe di Ramfis’, dove vengono trascinati nella Repubblica di Panama…
Nel giallo e noir spesso i personaggi si ribaltano nei ruoli: il cattivo si redime e il buono in realtà è un corrotto. In questo romanzo ci sono soltanto investigatori buoni o qualcuno è al limite?
Non vorrei svelare troppo altrimenti che giallo è? Posso solo dire che i miei romanzi, inevitabilmente, sono la proiezione del mio sentire, e io sono e voglio restare una persona positiva per cui la corruzione è lontana dalla mia visione anche se è presente in qualsiasi ambiente, perché la corruzione è semplicemente la corruzione dell’animo umano.
Rita Cascella è una donna libera di esprimersi e raccontare?
Assolutamente sì. Per questo scrivo. Mi potrebbe fermare soltanto il sonno perenne.
Che cos’è il romanzo per te?
Un pezzo di vita immaginata, ma reale e viva nella mente dell’autore e, si spera, nel lettore quando decide di aprire un libro ed entrarvi dentro. In ogni libro qualsiasi lettore può trovare una frase scritta appositamente per lui. Deve solo trovarla.
E un romanzo giallo/noir cosa rappresentano?
Per me, per la mia visione del mondo, la vittoria del Bene sul Male. O la scoperta che il Male, in fondo, non c’è.
Una domanda che ti avranno posto centinaia di volte: in cosa si somigliano Rita Cascella e Beatrice Pergolesi e in cosa differiscono?
Quando ho scritto ‘La stirpe di Ramfis’ ho continuato a sostenere che Beatrice non è Rita, ma credo di dovermi arrendere all’evidenza perché i lettori che mi conoscono personalmente ormai mi chiamano Beatrice anziché Rita. Ed effettivamente l’irruenza e talora l’ingenuità della Pergolesi senz’altro ripercorrono la mia irruenza e ingenuità dei primi anni in Polizia. Però Rita è cresciuta ed invecchiata, Beatrice invece, per la gioia dell’autore che può con la fantasia fermare il tempo, resta un giovane e volitivo Commissario di Polizia. Almeno questo, me lo posso concedere!
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