Dacci il nostro memo quotidiano. Condiviso
Dove vai ci sono i memo vocali che imperversano. Finché non ti imbatti nella conversazione perfetta in un supermercato
Sarà la voglia di condividere, di sentirci meno soli, di diffondere agli altri chi siamo e cosa vorremmo. Non si spiega altrimenti la modalità di ascoltare i memo in vivavoce da parte della maggioranza delle persone. Nulla di male, per carità. Ma quando attorno ci sono altre persone, si vorrebbe far notare oltre che il sacrosanto diritto alla privacy di chi inoltra il vocale (non certo di chi lo riceve, che ci tiene quasi ad alzare il volume a velocità rallentata) anche il sacrosanto diritto di non ascoltare urbi et orbi conversazioni di cui non nutriamo interesse.
Se sei sul treno sei pronto a farti inquinare e sanguinare le orecchie, ascolti una varietà di memo che posseggono la varietà della Torre di Babele, al bar capti conversazioni in differita sia al bancone che ai tavolini, almeno per strada chi cammina e ascolta i memo tenendo il cellulare sul palmo è meno fastidioso: è solo un incrocio di parole.
Ma il top è quando sei in fila al supermercato. E chi ha deciso di far ascoltare inconsapevolmente (?) i memo ai vicini fa parte di un gruppo WhatsApp. Mi è capitato di ascoltare una conversazione di amiche anagraficamente anta, probabilmente di ceto medio: stavano organizzando il venerdì di libertà dai rispettivi mariti e figli, quindi ho conosciuto (e non immaginato) le varie fasi della preparazione del free Friday (il gruppo si chiama così, m’è parso di capire), con passaggio obbligatorio alla lezione di pilates, seguito dall’appuntamento dall’estetista conseguente a quello dalla parrucchiera, fino all’aperitivo per poi arrivare alla cena in un locale modaiolo, oltre ovviamente al disbrigo delle pratiche baby-sitter e mariti relegati in casa (o alla partita di padel). Ovviamente i memo erano infarciti di parole tronche, confidenziali, sbrigative, anche volgari, ma tant’è, ci sta, quando li mandiamo a un gruppo di amici immaginiamo che restino ristretti e che non devono certo essere spediti a un prof della Treccani.
Lo spaccato sociale che ne emerge non è tanto l’impiego del tempo libero con chi condividiamo maggiori confidenze o ansie ma quanto piuttosto l’arrogante volontà di condivisione della nostra banalità verso chi deve restare soggetto passivo ed è costretto ad ascoltare. Ci sentiamo attori protagonisti e tutto il resto attorno a noi è pubblico. Ma seccato o meno pare non ci interessi.
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