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Il green deal europeo non sarà indolore

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la rivoluzione in atto in Europa comporterà costi rilevanti per il sistema produttivo e per la società

"Il green deal europeo non sarà indolore. Comporterà costi rilevanti per il sistema produttivo e per la società, che bisognerà contenere e controbilanciare con investimenti mirati a realizzare nuovo pil e a creare opportunità occupazionali nei profili innovativi resi necessari dalla transizione ecologica". Lo dice Giuseppe Arleo, coordinatore dell’Osservatorio Next generation di Competere.eu.

"Fare i conti - spiega - con il climate change è peraltro inevitabile. I disastri originati dallo sconvolgimento dell’ecosistema, di cui cominciamo a percepire tangibilmente gli effetti, saranno destinati ad aggravarsi esponenzialmente, se non si interverrà rapidamente con provvedimenti incisivi, posto che ve ne sia ancora il tempo".

"L’Unione europea - ricorda - ha mostrato determinazione nell’intraprendere una politica di svolta rispetto a un passato anche relativamente recente. L’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni al 2050, con riduzione del 55% già entro il 2030, sta lì a dimostrarlo. E’ fondamentale che questi traguardi non restino sulla carta, come purtroppo avvenuto per altre sfide virtuose di questi ultimi decenni. Le risorse aggiuntive di Next Generation Eu possono contribuire a dargli concretezza".

"La leva finanziaria pubblica - osserva Arleo - è importante. Non è pensabile che il mercato si autoregolamenti, che l’impresa privata si riconverta sua sponte nei tempi e nei modi opportuni per fare fronte al pericolo planetario. Il ruolo della finanza pubblica, d’altra parte, si può declinare in una serie di direzioni, di cui l’individuazione del giusto mix spetta alla politica. La scelta della più opportuna strumentazione agevolativa è, in tal senso, orientata proprio dal rapporto costo-beneficio. Occorre indirizzare le risorse per promuovere interventi soprattutto in quegli ambiti che più difficilmente sarebbero stati oggetto di autonoma iniziativa e investimento privato".

"L’incentivo - commenta - diventa così fattore propulsivo per attivare l’investimento privato necessario, al politico legislatore essendo affidato il compito di capire come dosarlo in termini percentuali, nonché proporlo sul piano temporale. Al riguardo non è mancato, infatti, chi ha ipotizzato l’utilizzo di una metodologia applicata dall’Ocse, basata sul premio all’investimento già effettuato, finalizzato all’abbattimento delle emissioni".

"Si può - assicura Arleo- andare oltre, ed è comprovato dall’esperienza degli ultimi anni. Accanto alla richiamata leva finanziaria, infatti, ha dimostrato di essere proficua anche quella normativo-regolamentare. Dal 2017, in Italia, le imprese con più di 500 addetti, un attivo dello stato patrimoniale superiore a 20 milioni e un fatturato maggiore di 40 milioni, devono obbligatoriamente presentare una rendicontazione non finanziaria. Questo adempimento ha oggettivamente contribuito a implementare l’impegno delle realtà in questione sul fronte Csr. Il maggiore investimento in sostenibilità ambientale, in questo caso, è stato indotto dallo Stato, che ha recepito, con decreto legge 254/2016, una direttiva Ue del 2004. Ma la peculiarità, virtuosa per le finanze pubbliche, è che si è realizzato a costo zero per pubbliche finanze. L’ideale per un Paese che ha un debito vicino al 150% del pil".

2 anni fa
Foto: pixabay
Autore
Pasquale Lattarulo

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