Cookie Consent by FreePrivacyPolicy.com
Loader

Quell'ultimo viaggio che si chiama dolce morte

viaggio.jpg

Nel romanzo 'In viaggio con la morte' di Gian Luca Campagna si tocca il tema dell'eutanasia, intesa come dignitosa scelta finale

«Certo, quando sei triste vedi tutto nero, hai una spossatezza interiore che si allarga, come piccole metastasi, ma poi la voglia di vivere ha il sopravvento, arresta il tumore della disperazione e dopo un po’ di tempo vedi di nuovo la luce…»

In libreria dal 21 marzo In viaggio con la morte (Mursia, pagg. 300, Euro 18,00), il nuovo avvincente romanzo di Gian luca Campagna, nostro direttore di testata, che mette al centro il tema delicato dell’eutanasia ma anche la dirompente voglia di vivere insita nell’animo umano. Campagna ha creato anche il personaggio José Cavalcanti, detective politicamente scorretto che vive le sue storie in SudAmerica, narrate in tre romanzi.

E la prima presentazione del nuovo romanzo In viaggio con la morte avverrà proprio nella sua Latina venerdì 12 aprile alle 18.30 presso la libreria la Feltrinelli di via Diaz, con ingresso libero. A conversare con l’autore ci saranno lo scrittore Alessandro Vizzino e la pedagogista Sara Di Matteo mentre le letture saranno affidate a Simona Serino.

Una storia vera, autentica, toccante, che tocca diversi temi. Carla, vedova e malata terminale, contatta il giornalista romano Gianni Colavita che dieci anni prima ha seguito l’omicidio rimasto irrisolto di suo figlio. La donna gli chiede di accompagnarla nel suo ultimo viaggio in una clinica svizzera dove ha prenotato il suicidio assistito. Il cronista decide di assecondarne le volontà ma solo a patto che il viaggio si trasformi in un’avventura per esaudire gli ultimi cinque desideri di Carla. Così, a bordo di una spider, la strana coppia inizia a collezionare frammenti di un puzzle che li riporterà ai fatti di dieci anni prima. E poi la Svizzera, per esaudire l’ultimo, disperato, desiderio. E risolvere finalmente il caso. Un giallo che tra colpi di scena, tensione e un pizzico di umorismo tiene il lettore col fiato sospeso fino all’ultima pagina.

Perchè un romanzo del genere?

Questo è un romanzo che ha lasciato profonde tracce dentro di me, perché ho dovuto affrontare il diritto alla morte. Tutti nasciamo coltivando il diritto alla vita, lo dobbiamo alla nostra natura, all’istinto di sopravvivenza, all’insegnamento cattolico, però conoscendo un mondo fatto di sofferenza resti spiazzato dal dolore, dall’angoscia e dal senso di vuoto di chi ha deciso per la dolce morte perché crede che sia arrivato il termine della linea della sua esistenza. Carla, la protagonista femminile del romanzo, dice ‘che andare incontro alla morte deve avere la stessa dignità di nascere e vivere, quasi vestirsi a festa. Una persona dovrebbe affrontare questo percorso in piena coscienza’. Parole dure da accettare ma il diritto alla morte presuppone la libertà dell’individuo. In Italia la Corte cosituzionale ha espresso un parere rispetto alla illegittimità costituzionale dell'articolo del Codice Penale su Istigazione o aiuto al suicidio, prevedendo una deroga all'applicazione dello stesso (non punibilità) in casi simili a quello famoso di DJ Fabo.

Chi è Gianni Colavita, uno dei protagonisti?

Un irrisolto che racconta la vita degli altri, dimenticandosi di vivere pienamente la propria. Che alla fine è la descrizione perfetta per un cronista.

E Carla, la donna che decide di suicidarsi in una clinica della dolce morte?

Carla è il personaggio che dà forza all’intera storia. Durante il racconto ha preso il sopravvento non solo su tutti gli altri personaggi ma anche su di me che da burattinaio sono diventato una marionetta, perché è un personaggio che pagina dopo pagina è diventato autonomo, ordinando alla mia tastiera quello che doveva accadere nella storia. Una donna disperata ma forte, decisa a morire mentre nel viaggio riscopre quella voglia di vivere che era scomparsa.

Hai costruito il tuo romanzo partendo da episodi di cronaca?

La cronaca resta un serbatoio inesauribile da cui ricavare storie autentiche, poi è chiaro che diventi ladro e bugiardo per creare la ‘tua’ di storia, saccheggiando la vita degli altri e piegando aneddoti a tuo uso, abuso e consumo. Guai se non fosse così, perché i romanzi non possono essere repliche della realtà, ma devono offrire prospettive differenti di un fatto. La realtà già c’è, la dovremmo già conoscere, va raccontato quello che c’è dietro le quinte o quello sotto al tappeto. Sono partito da diverse storie e le ho unite attraverso un filo conduttore che è quello dell’indagine di un giornalista su un omicidio inspiegabile e irrisolto, che poi si lega alla volontà di un suicidio assistito per la disperazione nata in una donna dopo diverse riflessioni. È una storia costruita su due piani temporali, dove resta forte comunque l’influenza di un maestro come Edgar Allan Poe, che sapeva costruire storie brevi con un finale sempre sorprendente. E il finale nei miei romanzi tento sempre di farlo risultare spiazzante, perché amplifica la riflessione sui temi trattati nella storia non tralasciando la funzione intrattenitrice del romanzo.

Che cos’è il romanzo per te?

Un viaggio comune che unisce gente che non si conosce. Questo perché nei romanzi le persone si riconoscono, anche se vivono luoghi e tempi differenti, circostanze diverse: il romanzo è un altrove straordinario in cui il lettore si rispecchia nelle situazioni e nelle emozioni che vivono che vivono personaggi così simili a lui e così simili a tante persone che conosce. L’obiettivo della narrativa è quello di creare ponti per tentare di migliorare il mondo, formando le coscienze, in nome della libertà, del rispetto, dell’uguaglianza, della crescita sociale. Scrivere un’opera di mera evasione non mi è mai appartenuto, credo nella funzione sociale della narrativa. Però questo processo, quello di un ipotetico mondo perfetto, avviene attraverso i dubbi di uomini falliti, personaggi irrisolti, donne discriminate, di protagonisti di storie che hanno  più domande che soluzioni. Eppure queste riflessioni portano a risposte. Ed è il fascino straordinario che emana la narrativa, capace di creare suggestioni che poi si trasformano in confronti costruttivi tra personaggi di carta e quelli in carne.

Il romanzo è un viaggio solitario?

Sì, ma a tratti in compagnia. O un viaggio in compagnia ma a tratti in solitaria. Io spesso scrivo anche in bar caotici, proprio perché riesco a entrare in una bolla creativa pur osservando quello che mi capita a tiro di sguardo. Non sono molto d’accordo con la suddivisione tra narratore e romanziere fatta da Walter Benjamin, credo che ai giorni nostri lo scrittore sia l’uno e l’altro. Da una parte non è scomparsa la sua eredità di farsi portavoce di precedenti esperienze raccontandole e condividendole al pubblico, ma è anche vero che il viaggio dello scrittore talvolta si renda necessario farlo in solitaria, perché la riflessione matura quando sei solo con te stesso, dopo la parte del confronto serrato col pubblico. Ma questa è la mia visione. Comunque, il viaggio rappresenta l’epica. Non si può non partire da quello per raccontare.

Torneremo a leggere una storia con il tuo personaggio seriale, il detective italoargentino José Cavalcanti?

Affrontare orizzonti illimitati mi manca. Mi manca il viaggio nel senso più ampio del termine, dove i confini non esistono, dove la linea dell’orizzonte da raggiungere significa scavalcarla per proseguire a viaggiare. José Cavalcanti rappresenta tutto questo, ne è l’emblema. Sono affetto dalla wonderlust, c’è poco da fare, questo vale anche per la vita ordinaria. Ma per rispondere alla domanda, sì, Cavalcanti tornerà con uno straordinario viaggio e una fantastica avventura. Come lo è la vita.

8 Aprile
Foto: pixabay
Autore
Giada Giacomelli

Commenti