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Qatar22: Argentina-Olanda mai più

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Venerdì si gioca il quarto di finale che richiama alla memoria la finale di Argentina 78, quello che fu il Mondiale della vergogna

Guardi gli accoppiamenti dei quarti di finale di Qatar22 e non può non balzare agli occhi Olanda-Argentina. La finale del ’78, quello che fu il Mondiale della vergogna. Il Mondiale della dittatura militare, quello delle torture nei centri di detenzione clandestina, dei desaparecidos, dei voli della morte, dei bambini rubati, atrocità che cessarono anche grazie al giro silenzioso delle Madres e delle Abuelas de plaza de majo. Ricordi per niente sbiaditi di bambino curioso, immagini indelebili di fiumi di gente che invadono festosi quell’enorme strada che è avenida 9 de julio, perché è la ‘fiesta de todos’, con gli argentini che confondono il calcio con la patria e la patria col calcio, perché quello splendido gioco viene trasformato come un’arma di distrazione di massa, ordendo il più grande degli inganni, con la complicità della Fifa e delle potenze occidentali. Italia inclusa. Altro che italiani brava gente. Il calcio camuffato da sport della gente quando invece era diventato un make up per uno Stato terrorista, assassino dei suoi figli, invocando a suo schermo che gli argentini erano ‘diritti e umani’. E poi i calciatori argentini, marionette forse consapevoli di uno spettacolo orrendo, perfettamente a loro agio in quella gioiosa perversa follia collettiva. Quei capelloni con le maglie a strisce biancocelesti si contendevano la coppa con quegli altri capelloni, gli olandesi con le maglie arancioni, così sciolti e duri, maschi e tosti come gli argentini. Ancora, il campo di Buenos Aires tappezzato di coriandoli e carta igienica, un’umidità pazzesca nell’aria e un tifo alto fino al cielo, mentre a qualche metro di distanza si consumavano tragiche torture. Fu l’impatto, il primo, con un mondo simile al nostro eppure così lontano: erano argentini, ma i cognomi non stonavano, c’erano Passerella, Tarantini, Bertoni, poi quel portiere strano, dal cognome spagnoleggiante, Fillol, ma con la maglia numero 7, e quell’altro giocatore elegante nelle movenze, impomatato come un damerino uscito da una stampa anni ’30, con la casacca numero 1, Ardiles. Erano numerati in ordine alfabetico, mica come gli europei che s’attenevano al ruolo in campo. Erano diversi ma così simili a noi, erano così simili a noi ma così diversi. Vinse l’Argentina 3-1, ai tempi supplementari, ma era una vittoria forse già scritta, figlia della pagina più triste e vergognosa del calcio mondiale, quella della ‘marmelada peruana’. Certo, c’è stata anche un’altra Argentina-Olanda, semifinale a Brasile 2014, vittoria ai rigori per l’Albiceleste dopo lo 0-0 dei supplementari. Ma l’unico tempo supplementare ammesso resta quello del ricordo, l’antidoto che può cancellare l’indifferenza. Ogni argentino che indossa quella maglia dovrebbe giocare quella partita col lutto al braccio. Nel ricordo e nel rispetto. Mai più. Nunca más. 
1 anno fa
Autore
Gian Luca Campagna

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