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Quel profumo e sapore di vittoria che DiFra aveva dimenticato

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Il tecnico canarino domina tatticamente contro l'Atalanta sorprendendo Gasperini con Gelli, Monterisi e Barrenechea. "Per me è l'anno zero" dice

Anima unica e corpo solo. Questo è il Frosinone di Di Francesco. Dice molto il lungo abbraccio tra il tecnico ciociaro e il suo staff a fine match, segno di una sofferenza interiore, amarezza, frustrazione covata negli anni e poi espulsa in nome di una soddisfazione liberatoria. Certo, la gioia nel calcio (come nella vita) è momentanea, non hai il tempo di cullarti nel piacere di una vittoria, ci sono altre scadenze, ci sono gli avversari, gli imprevisti. E le sconfitte. E si ricomincia. DiFra conosce bene quest’altalena. Con la serenità di chi sa che la vita sono montagne russe, in conferenza stampa dopo la vittoria contro l’Atalanta, durante una risposta in un inciso si è lasciato sfuggire “nella mia alterna carriera”. Ecco, di quest’uomo piace l’onestà intellettuale, la serenità come spiega le cose a chi fa il cronista ma giocoforza non penetra in dettagliati meccanismi tecnici, sai che accoglie la domanda anche approcciata male con un sorriso indulgente. Ecco, il sorriso. Be’, sì, pare che il tecnico che non brindava a una vittoria dal 7 novembre 2020 (Cagliari-Samp 2-0, ndc) il sorriso lo ha riacquisito. Però, va detto che forse quel sorriso Eusebio Di Francesco lo ha riconquistato da quando è venuto in Ciociaria, una terra semplice, autentica, rustica, di passione. Di razza ciociara, come scandiscono i tifosi sempre a inizio partita.

Eppure, al di là del ritorno su una panca in serie A, analizzando la rosa che la coppia Stirpe-Angelozzi gli ha messo a disposizione, non avrebbe dovuto fare i salti di gioia. E non ha potuto. Nel calcio di luglio, gli addetti ai lavori indicavano come prima favorita alla retrocessione quel Frosinone sì campione di B ma orfano di giocatori capaci di mantenere la categoria appena conquistata: un conto è dominare col SudTirol o col Cittadella, un altro è andare a cercare di fare punti con Milan o Roma, senza uscirne con le ossa rotte e umiliati dal risultato.

Dice bene DiFra. “Nel calcio c’è possibilità per tutti”. Il riferimento molto esplicito era per Gelli, questo giocatore “non più giovanissimo che fino a 7 mesi fa giocava in C, ad Albinoleffe”. E che si è calato con corsa, tattica “e cuore” (battendosi la mano sul petto quassi a enfatizzare, sul cuore, parole sue e prova del giocatore). C’è da chiedersi quanti Gelli vivacchiano in serie C, in squadre che hanno come obiettivo il mantenere la categoria e il pareggio di bilancio, piuttosto che esprimere (bel) calcio e lanciare qualche promessa. Ma la risposta è semplice, se il calcio italiano ai massimi livelli buca per due volte di fila la qualificazione ai mondiali, pur avendo qualche sussulto di rivalsa e orgoglio (il titolo europeo di Mancini e le tre finali europee perse la scorsa stagione) la domanda diventa retorica. E poi Barrenechea, “il vero play è lui”, questo oggetto misterioso proveniente dal pianeta Juventus, sofferente nella Juve Next Gen, manco considerato da Allegri, capace di trasformare le parole di DiFra in verticalizzazioni veloci in avanti e di fraseggi di rammendo quando si tratta di impostare, ragionare o rallentare. Queste sono state due autentiche mosse a sorpresa nello scacchiere disegnato da DiFra contro l’Atalanta di Gasperini, zeppa di campioni esperti e sempre proiettati nella pugna.

E poi Monterisi, prelevato dalla Fidelis Andria in C (quasi refrain di Gelli…), riserva in B e spedito da Grosso in campo quando la coperta difensiva era troppo corta. Esordio in A contro Osimhen e poi Zapata alla seconda giornata. Gioca, il buon Ilario, un calcio antico, francobolla l’avversario, anche perché non deve lasciargli spazio, e quando lascia corridoi ecco che sono dolori: col nigeriano fa a sportellate, vince più di qualche duello aereo, poi alza bandiera bianca con Osimhen che ne fa due; a Zapata lo ammanetta e lo annichilisce, non gli lascia spazio, gli mangia in testa si direbbe in provincia, poi se lo smarrisce in occasione del gol. Ma intanto, Ilario, ne ha fatto uno in mezzo all’area, di rapina. E scusate se è poco.

Harroui, l’altro innesto che ha sorpreso Gasperini, piazzato sulla corsia mancina ma che ha avuto la possibilità di spaziare in ogni dove, dalla trequarti a fare coppia con Cheddira. In due stagioni a Sassuolo, il marocchino ha registrato 45 presenze e due reti. A Frosinone, in sole due giornate, ha già eguagliato il suo personale score di marcature. Ma immaginiamo che non sia finito il momento di grazia, i suoi strappi lasciano interdetti per quanto sono letali. E a proposito di figli di Atlante: Cheddira, all’esordio, ha dimostrato di caricarsi il peso dell’attacco canarino, sgomita, aggredisce spazi e avversari, lotta in acrobazia e in mischia.

E alla fine glielo chiedi a DiFra quanto profuma questa vittoria. Se è una madeleine proustiana una volta in bocca, esplosa tra le papille gustative. Se la memoria gli rimanda a qualche gioia che il tempo ha offuscato. Se è una piccola rivincita ottenuta contro una grande del campionato con un manipolo di sconosciuti già indicati come retrocessi. “Sono molto contento per l’ambiente” sorride. E poi quasi a mezza bocca aggiunge “è l’anno zero”. Sa che per lui è l’ultima chiamata al banchetto della serie A. È contento, suvvia, si nota dal sorriso ampio. Ma non racconta l’estasi del profumo e del sapore di questa vittoria. La sta ancora assaporando.

1 anno fa
Foto: frosinone calcio
Autore
Gian Luca Campagna

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